venerdì 29 luglio 2011

Blut und boden à la vigneronne

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Leggo su un post di Wu-Ming che “i dialetti del Nord Italia vanno riscattati dalla pesante ipoteca leghista” e che “lasciare che fossero quei loschi figuri a sventolare strumentalmente il vessillo dei vernacoli e delle parlate 'minori' è stato un grave errore della sinistra”. Da un po’ di tempo a questa parte circola questa formula: “lasciare a x il tema y è stato un grave errore della sinistra”. A scorrere tutte le versioni, ne esce una litania: “lasciare alla destra il tema della sicurezza   è stato il più grande errore della sinistra”, “lasciare alla destra il tema delle liberalizzazioni – è stato il più grande errore della sinistra” et cetera, ad libitum. Ora si scopre che la sinistra ha sbagliato a lasciare ai leghisti la protezione del piemontese monferrino, del bergamasco e del friulano, concentrandosi eventualmente sul formaggio di fossa, sulla salama da sugo e sulla cinta senese.

Di primo acchito, se ne dovrebbe dedurre che “il più grave errore della sinistra” sia stato non copiare il programma della destra. Ma quando questa critica viene da chi imputa alla sinistra (“il suo più grave errore”, ovviamente) di copiare il programma della destra, ci deve essere sotto qualcos’altro. È parecchio tempo, ormai, che la sinistra quella pura, anzi quella più pura (“avete presente quella pura? Quella più pura”), è affascinata dalla sinistra blut und boden di fonte iberica. Oltre i Pirenei, la riscossa antifranchista, si sa, andò a braccetto con la rinascita dei nazionalismi locali (catalani e baschi, in primis), duramente repressi dalla dittatura del Generalissimo. È capitato così che forme di nazionalismo, fiorite dal secondo dopoguerra un po' ovunque e che in qualche caso degenerarono in insopportabili mafie, hanno finito per diventate idoli della sinistra ribelle, con una selezione più o meno ideologica, più o meno casuale: bene i baschi e magari anche i corsi, i tirolesi no, i bretoni chissà. La storia è nota. Ora, più modestamente, c'è chi chiede di portare il vessillo dei vernacoli e delle “parlate minori”: il retroterra qui è la vecchia passione per l’arcadia contadina, un po’ di slow-food, no-global à la vigneronne, il buon vecchio mito delle origini. Da quando parlar male dell’illuminismo è diventato di gran voga, a sinistra, il romanticismo la fa da padrone. Si passa dall’esaltazione delle “identità” a toni di puro superomismo dannunziano, e magari si sta parlando delle proteste contro l’alta velocità in Val Susa. L’universalismo e il mito del progresso? Non si sa a chi li abbiamo lasciati, ma qualcuno dovrà iniziare a dire che è stato un grande errore comunque. Mitologia per mitologia, non si capisce perché si deve preferire la nostalgia per il gozzo e per la cascina.

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