mercoledì 5 dicembre 2012

Antiquariato giuridico 1 - si stava uguale anche quando si stava peggio

Una “Bordin Line” di qualche giorno fa, mi ha fatto tornare in mente un articolo di Mario Pisani uscito quarant’anni fa sui Quaderni fiorentini e che mi è capitato di leggere recentemente. L’articolo prende in considerazione quattro circolari ministeriali, nell’arco di quasi un secolo, contenenti, tutte, una serie di richiami volti a limitare o a reprimere l’inevitabile teatralità dei dibattiti penali. Si tratta di quattro circolari emesse da governi differenti, in epoche differenti, in ottemperanza a differenti codici di procedura penale. Le prime due, firmate dai guardasigilli Giovanni Battista Varè (1879) e Luigi Ferraris (1891), appartengono a due periodi diversi della stagione “liberale”. La terza è firmata dal ministro Rocco, ed essendo del 1928 risale al periodo del consolidamento dell’autoritarismo fascista. L’ultima, del 1952 (ministro Adone Zoli), è dell’Italia democristiana dell’immediato dopoguerra.

L’articolo di Bordin (che a sua volta richiama un articolo di Stefano Livadiotti apparso sull’Espresso), mi ha ricordato la prima circolare, quella del 1879, che, inviata «ai signori primi presidenti e procuratori generali delle Corti d’appello», aveva l’intento principale di limitare i costi del sistema giudiziario, «in Italia - sosteneva il ministro Varè - assai più forti di quanto, nel medesimo titolo, siano gravati i bilanci di altri Stati, dove le istituzioni giudiziarie hanno il medesimo tipo e simili le norme». È notevole come alcune costanti evidentemente si mantengano col cambiare dei tempi, dei regimi, delle condizioni sociali ed economiche del Paese.
E che vi siano delle costanti che legano questi interventi tra di loro e, anche, tra di loro e l’attuale situazione, lo dimostra la citazione che l’ultima circolare, quella del 1952, fa della prima, quella del 1879. A proposito dell’eccessiva spettacolarizzazione dei dibattimenti penali, il ministro democristiano Adone Zoli si richiamava infatti esplicitamente al suo predecessore liberale Varè, il quale, sottolineando la necessità di rispettare il “giudicabile”, ricordava che: «l’accusato, fino a che condannato non sia, si presume innocente; è un cittadino infelice di cui non è lecito aggravare le condizioni, degradandolo a figura da scena, come le bestie feroci che si espongono al circo». Dal 1879 ad oggi sono stati redatti tre codici di procedura penale (1913, 1930, e quello attuale, entrato in vigore nel 1989) e una nuova costituzione, la quale, appunto, si premura di ricordare, al secondo comma dell’articolo 27, che l’imputato non può essere considerato colpevole prima della «condanna definitiva».

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